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Gay & Bisex

I migliori an(n)i della nostra vita_1


di honeybear
16.09.2015    |    10.796    |    3 9.6
"L'espressione sulla sua faccia non era scioccata, rabbiosa o, peggio, disgustata..."
Non so perché sento la necessità di fermare sulle pagine di un diario questi ricordi. Forse proprio perché non sono ormai che questo: ricordi.
Che, nella mia mente di adulto, si legano strettamente alla frase con cui ci incitava l’allenatore Bertelli:”Ragazzi, questi sono i migliori anni della vostra vita!” come recita il testo del celebre brano musicale.
Sorrido dentro me: se fosse stato vero, allora la mia vita era un assoluto disastro!
Perché?
Perché avevo 18 anni ed ero vergine!!!!
Qual era il problema? Risposta banale! Tutti i miei compagni di squadra si vantavano della loro prima volta: delle ragazze che li avevano spompinati, di quelle che avevano spalancato le gambe per loro o cose del genere. Non che ci trovassi qualcosa di strano o di offensivo nelle loro vanterie.
Semplicemente ero un diciottenne (vergine), facilmente eccitabile ed arrapato a cui piaceva ascoltare le loro storie. Non mi importava se fossero vere o meno: era tutto materiale per le mie sedute in solitaria (leggi seghe).
Ciò che mi dava da pensare era che non sognavo fiche allargate e sbrodolanti.
La notte, quando afferravo il mio uccello duro per spararmi il suo carico sulla pancia, immaginavo il culo del compagno di turno oppure lo vedevo intento a piombare qualche bel corpo davanti di sé. Talvolta fantasticavo sulla mia bocca riempita da un bel cazzo e questo non faceva che aumentare la mia già facile eccitabilità.
Ero omosessuale o qualche cosa del genere?
Non lo sapevo. Certamente non riuscivo ad evitare di crearmi quei film mentali e posso assicurare che, quando la notte ero sdraiato sopra le lenzuola a gambe larghe con Federica (l’immortale mano amica) intenta a smanettarmi fino al culmine del piacere, tali pensieri non costituivano fonte di preoccupazione.
Al contrario!!!!
Solo dopo l’eiaculazione mi assalivano i sensi di colpa. Mi sarei fracassato la testa contro il muro per svuotare del tutto la mia mente da quelle immagini; ma poi rientravo in me, convincendomi che chiaramente l’unico oggetto sessuale che conoscevo era il mio cazzo ed era quindi naturale centrare le fantasie su di un suo pari.
Questo mi faceva sentire meglio. Finché pensieri di culi, uccelli e sperma dei ragazzi rimanevano rinchiusi nell’etereo mondo masturbatorio, ero abbastanza tranquillo. Ma quella sorta di effetto placebo non era duraturo. Anzi lo era sempre meno.
Fu quando cominciai a realizzare cosa combinavo più o meno inconsciamente negli spogliatoi che riflettei realmente sulla possibilità di essere gay. Giocavo in una squadra di rugby e le sedute di allenamento si trasformarono presto per me in una festa! Spiavo i corpi muscolosi dei miei compagni mentre ci cambiavamo prima e dopo l’attività. Mi soffermavo su quelle canne mosce penzolanti da più o meno morbidi e folti ciuffi di pelo, sperando di imbattermi in un improvviso alzabandiera. Il momento della doccia poi era un vero tormento (o una vera estasi!): l’esposizione di quei pezzi di carne variamente sudata che, massaggiati dal getto dell’acqua calda si coprivano di schiuma morbida e profumata (che tanto desideravo contribuire a massaggiare), velocemente sciacquata dalla pioggia del soffione, mi dava alla testa. Per non parlare poi di quando, terminata l’abluzione, qualcuno, avvolto nello striminzito asciugamano mi sfiorava con la pelle o il pelo umido… Quel senso di eccitazione misto alla paura di essere sgamato, non facevano che accrescere uno strano senso di desiderio che percepivo irrimediabilmente represso.
Come se la vita di un diciottenne vergine non fosse già abbastanza complicata!
Del resto lo sport era l’unica attività che mi riempiva la vita.
Vivevo in un quartiere popolare di una grande città, allevato da una ragazza madre perché i miei genitori, per una qualche ragione a me ignota, decisero di separarsi quando ero ancora piccolo. E mio padre pensò bene di filarsela. Sul fronte scolastico poi, non potevo definirmi una cima: il pericolo bocciatura non incombeva, ma sopravvivevo al limite della sufficienza.
Sì, realizzai che la vita per me minacciava di farsi difficile!
E qualcuno se ne accorse. L’allenatore Bertelli per l’appunto che, una delle tante sere dopo l’allenamento, mi convocò nel suo ufficio.
Dimenticavo: il rugby riempiva le mie giornate, ma non ero certo la stella della squadra o un fuoriclasse. Questo mi rendeva quindi uno dei tanti pseudo-atleti che ciclicamente sfilavano davanti agli occhi del coach. Non avevo mai tenuto comportamenti particolarmente aggressivi o scorretti e perciò non ero mai stato convocato nel suo ufficio, ragion per cui non mi prestò mai particolare attenzione. Almeno fino a quel momento.
“Cosa sta succedendo?” esordì, appoggiato al bordo della scrivania. Come me, anche lui indossava ancora la divisa d’allenamento. Subito pensai che quell’incontro e quel tono amichevole facessero parte del personaggio che si era costruito. Lui voleva che tutti lo pensassimo uno di noi, sebbene fosse, a ragion veduta, più grande: una trentina d’anni o giù di lì. Certamente il suo aspetto giovanile, garantito da un viso acqua e sapone (si dice così anche per i maschi?) con la barba ben curata, un fisico asciutto, muscoloso e ben strutturato poteva far pensare al contrario. Ma considerarlo uno dei ragazzi e non il nostro allenatore, beh, per me era quasi inconcepibile.
“Cosa vuol dire?” replicai.
Mi guardò per qualche secondo e poi sospirò: ”Dai, Davide, non sono stupido e neppure cieco. Ti sta succedendo qualche cosa e vorrei sapere cosa. Cazzo. Questi sono i migliori anni della tua vita! Quindi qualunque cosa sia, quanto può essere grave?”
Io alzai le spalle e mi misi a studiare una piastrella consumata sul pavimento del suo ufficio.
“È una questione sentimentale? Già! Deve trattarsi proprio di quello, non c’è altra spiegazione!”
“No...” Mormorai.
“Mmmm... – mi parve poco convinto. Ma non desistette - Tutto bene a casa?”
“Sì” Risposi alzando le spalle, desiderando dannatamente di andarmene.
L’allenatore mi studiò (non trovo altro modo per descrivere il suo sguardo: studiò) per qualche secondo, poi si alzò, chiuse la porta e le tende della finestra che danno sull’ingresso al campo.
“Siediti, Davide” disse prendendo una sedia e facendomi segno di accomodarmi, mentre faceva altrettanto. Anche da quella posizione i miei occhi continuarono a mantenersi incollati al pavimento. Cazzo, ma nessuno aveva mai pensato di dargli una scopata?
“Puoi parlarmene, se lo desideri. Voglio che tu sappia che sono qui per ognuno di voi ragazzi.” Io accennai di avere inteso. Il mio disagio, non so perché, aumentava proporzionalmente alla mia voglia di essere fuori da lì.
“Nelle ultime settimane... – sospirò di nuovo – Ho avuto modo di osservarti. Ecco credo di non sbagliarmi quando ti dico che ti sta succedendo qualcosa. Sei sicuro che non si tratti di ragazze?”
“Affermativo”
“Hmmm, si tratta allora… - esitò un momento - Di ragazzi?” Avvampai mentre sollevando il viso, gettai un'occhiata spaventata all’allenatore. Poi lasciai cadere di nuovo i miei occhi sulla piastrella rotta del pavimento.
Perché lo chiedeva? Sapeva?
Oh cazzo, sapeva!!
“Ahhhh... È. O non è? - chiese dolcemente, facendo scivolare un po' più vicino la sua sedia - Va tutto bene, Davide. Molti ragazzi alla tua età sono... Curiosi. È normale” concluse.
“No, non lo è!“ dissi finalmente.
“Chiaramente ci sono... Tonnellate di cose da verificare da parte dei ragazzi. – ecco che partiva la patetica paternale - Fa parte del crescere!” e il tentativo di rassicurarmi culminò con la sua mano che si posò sul mio ginocchio. Se ce n’era bisogno, la vera nuziale che scintillava sull’anulare, accrebbe ancora il mio senso di imbarazzo e confusione: per certi versi mi sentii rassicurato dal calore della sua mano poggiata sulla mia pelle liscia; d’altra parte un perverso e strano senso di eccitazione cominciò ad impossessarsi della mia persona. E con ‘strano e perverso senso di eccitazione’ intendo dire che l’insolita situazione iniziava a farmi diventare l’uccello duro… Seppure, dentro di me combattevo affinché ciò non fosse.
Ma era una battaglia persa.
“Credo...“ iniziai. Ma subito mi fermai alzando le spalle. L’allenatore non spostò la mano di un millimetro (o forse sì, la fece impercettibilmente salire un pochino!?!?).
“Hai fatto qualche cosa!? Con un altro ragazzo, voglio dire!?” domandò quietamente. Lo fulminai con uno sguardo, i miei occhi si allargarono.
“No!” gridai. Era vero, era così e non stavo mentendo. Gli fui grato per non avermi chiesto se mi sparavo seghe pensando a ragazzi.
“Ok, ok. E quando ti masturbi? – Oh cazzo: ecco che ci siamo! - Pensi di fare qualche cosa con i ragazzi?” Dondolai il capo lentamente, assentendo e sentendomi una merda totale.
“Hmmmm...“ mormorò. La sua mano era ancora sul mio ginocchio ma, avrei potuto giurarlo, stringeva un po’ di più. Forse stava solo tentando di rassicurarmi, ma l’effetto su di me era altro.
“E cosa immagini di fare?” continuò inarrestabile. La sua voce che prima era quieta suonava ora, strana. Tesa. Io stavo sudando come un maiale e veramente, veramente, volevo andarmene da lì.
“Non so. Qualche volta... – balbettai - Solo... Ecco, delle cose...”
“Che genere di cose?” Insistette.
“Delle cose…” cominciai ad agitarmi sulla sedia. La sua mano non si mosse. Solo cadde un silenzio imbarazzato che durò pochi secondi, ma a che me parvero minuti.
“Davide“ riprese, facendo subito una pausa. Io alzai gli occhi verso di lui. L'espressione sulla sua faccia non era scioccata, rabbiosa o, peggio, disgustata. Era più come dire. Placida, non so se mi spiego. Come se mi stesse capendo realmente.
“Davide – il tono della voce pareva quello di chi si sta facendo coraggio per rivelare qualcosa d’inconfessabile - Ti dirò qualche cosa che deve assolutamente rimanere tra te e me. Va bene?” acconsentii.
“Molti ragazzi hanno pensieri come i tuoi. Da sempre, credo, è stato così. Io stesso, sebbene sposato e padre di famiglia, ancora oggi ho, qualche volta... Sì, insomma, mi capita di avere le tue stesse fantasie. Quindi, vedi, non è poi così strano. O sporco. O qualsiasi altra cosa tu possa pensare!”
“Davvero?”
“Già!” mi sorrise debolmente inclinando la testa per scrutare la mia espressione.
“Co... – d’istinto mi fermai. Ma subito mi ripresi - Allora lei a cosa pensa?” le parole mi uscirono d’un fiato.
“Hhhmmm... Dunque tu non vuoi confidarmi i tuoi segreti, ma vuoi che ti confessi i miei?” ridacchiò. Era vero: aveva segnato un punto a suo favore.
“Oh, sì! – ancora mi pentii delle mie parole - Scusi. Mi scusi!”
“Allora - questa volta il sorriso s’allargò sul suo volto accendendo i suoi occhi chiari - Io te li rivelerò ma solamente se sarai tu il primo a condividere con me i tuoi pensieri più intimi. Te lo prometto. Aggiudicato?”
“Uhmmm, sì! Ok,. Ma lei vuole dire… Parlarne subito?”
“Sicuro!”
“Oh... – esitai. Non ero per nulla convinto di ciò che stavo per fare. Però volevo anche liberarmi di quel fardello che mi pesava sul cuore e non solo - Io... Io penso a ragazzi che fanno cose tra loro…“ non riuscii a formulare il concetto meglio di così.
“Tipo ragazzi che scopano altri ragazzi?” mi pungolò.
Una scopata tra ragazzi? Gulp! Non avevo mai considerato una simile eventualità. Subito mi chiesi come potessero farlo. E dove. In un attimo realizzai e con ostinazione ricacciai quell’immagine indietro.
No. No, assolutamente no: non nel culo!!!!
“No, cazzo – palesando il mio disgusto - intendevo fottere ragazze!”
“Aahhh. Ok, bene, questo è veramente normale. Cos'altro?” Tornai a guardarlo, sentendomi veramente un po’ strano. Come se dentro di me fossi accaldato ed agitato. Deglutendo con forza bisbigliai:”Penso anche ai loro uccelli dentro ad una bocca. La mia bocca...”
“Davvero? – si sfiorò il mento irsuto con la mano che riportò poi a poggiarsi sulla mia coscia - Interessante. E quel pensiero ti eccita?” feci cenno di sì con la testa. Frattanto il mio uccello si era talmente indurito da scoppiarmi nei pantaloni.
“Ok, e pensi anche al tuo uccello nella loro bocca?” chiese.
“Qualche v... No, no!“ mi corressi immediatamente o avrebbe pensato che fossi un pervertito totale.
“Hmmmmm. Ok. Grazie, Davide da avere in me una tale fiducia da confessarmi tutto questo tuo peso interiore. So che deve essere stato duro... Ehm, voglio dire, difficile“ a quel punto gli piantai i miei occhi in faccia: aveva detto che se io avessi vuotato il sacco, lui avrebbe fatto lo stesso. Aspettai in silenzio. Invece sembrava lui stesse pensando.
“Coach?”
“Sì, Davide?”
“Lei ha detto che...“
“Oh! E’ vero! Mi spiace, ma prima ho bisogno che tu capisca che questo deve assolutamente rimanere tra di noi e non può essere rivelato a nessuno. Mai. Ok?”
“Tra me e lei!”
“Bene. Devi sapere allora che quando mi masturbo, eh sì, anche un uomo sposato si masturba ancora di tanto in tanto: tutti noi ragazzi lo facciamo. Dicevo, quando mi masturbo, io penso di fare una sega ad un altro ragazzo o di succhiarglielo. Qualche volta penso anche si succhiarcelo a vicenda; l'altro ragazzo ed io, intendo. Ma non noi...“accompagnando le parole ad un gesto eloquente. L’effetto d’indicarci, sottolineato da quel ‘non noi’, sortì in me uno strano effetto: l’immagine di me intento proprio a ciucciare a dovere il cazzo del mio allenatore Bertelli. E sulla scia di quei pensieri, il mio corpo fu attraversato da un brivido. Il mio uccello divenne ancora più duro ed io maldestramente, compressi l’inguine per mascherare l’imbarazzo. Lui invece se ne avvide e ghignò.
“Sei un po’ eccitato, uh?” bisbigliò, la sua mano ora premeva poco sotto il cavallo e non più sulla coscia. Quando la aveva spostata?
Assentii ancora una volta. Anche perché l’erezione sotto i miei pantaloncini costituiva una prova inoppugnabile del mio stato. Gettai uno sguardo tra le sue gambe e, sorpresa! Al centro dei suoi pantaloni si era formato un alone umido, là dove probabilmente stava il suo uccello. Lui seguì i miei occhi ed abbassò lo sguardo alle sue anche.
“Ooops. È scoppiato! – ridacchiò per nulla imbarazzato - Vedi? Dici quello che pensi e questo è il risultato!“
Deglutii abbozzando un sorriso e col capo gli feci intendere di aver compreso.
“Davide?” disse piano.
“Sì?”
“ Vuoi vederlo?” chiese indicando la macchia.
Ci fu ancora un attimo di silenzio.
“Sicuro“ risposi, accompagnando l’esclamazione con un senso di soffocamento.
”No, davvero. Tu vuoi vederlo?” insisté enfatizzando il pronome 'tu'. Immediatamente capii che non avrebbe alzato il sipario a meno che non fosse più che sicuro delle mie intenzioni.
”Sì. Io voglio vedere il suo uccello, Mister!” ripetei semplicemente. Wow, ero proprio io ad aver parlato! Si alzò e andò a chiudere a chiave la porta. Tenendo gli occhi su di me, abbassò lentamente i pantaloni. Portava il sospensorio che esibiva una macchia più grande di quella dei pantaloni che ormai giacevano ai suoi piedi. Con un calcio li allontanò e lasciò che l’ammirassi.
L’avevo già visto in pantaloncini e così conoscevo già le sue gambe pelose e sode, ma vederle così da vicino e praticamente nude, beh, era un’altra storia. Allungai una mano e la feci scorrere sulla fitta peluria scura.
”Davide – sospirò profondamente - Attento a ciò che fai, ragazzo mio! Le strane idee che frullano nella testa del tuo allenatore, potrebbero trasformarsi in realtà!” E rise. Mentre lo guardavo calò lentamente il sospensorio dallo stomaco alle gambe.
L’uccello, quella meraviglia, sgusciò fuori.
Non ne avevo mai visto uno in erezione prima di allora e men che meno quello di un adulto.
Forse era colpa della tappezzeria scura che lo incorniciava, ma mi parve, se non enorme, sicuramente lungo, spesso, venato e dannatamente sexy, mentre ballonzolava a pochi centimetri dal mio viso. Lui non era circonciso come me, ma il suo prepuzio era arrotolato indietro, sospeso con un sottile filetto alla cappella lucida. Era più bombata della mia e di un colore violaceo; al centro s’apriva una piccola fessura profonda: l’orifizio da cui usciva la piscia.
Il respiro dell’allenatore cambiò. Ora era simile a quello che aveva dopo una bella corsa su e giù per il campo quando ci impartiva le indicazioni durante l’allenamento. I suoi occhi brillavno. Di gioia? Di piacere?
Non avevo avuto altre esperienze sessuali, se non quelle della mia mano sul mio pacco, ma riconobbi che era eccitato. Eccitato con me o per me. Pensai che era una cosa fica.
”Mostrami il tuo, Davide“ senza alzarmi, lasciai scivolare pantaloni e sospensorio in un colpo, liberando finalmente il mio manganello dolorante dalla sua prigione. Saltò duro contro la mia pancia liscia. A differenza sua, la mia cappella era leggermente affusolata e poggiava sopra ad un tubo liscio e sottile (non avrei saputo stimare se lungo a sufficienza di fare di me un superdotato).
Alzai la t-shirt per evitare che fosse macchiata da quel liquido chiaro che, fluendo dalla mia cappella, aveva già impiastricciato la lanugine nella zona inguinale.
”Che meraviglia! - disse lui piano - Posso toccarlo?”
”Sì!“ dissi alzandomi per avanzare verso di lui. Quando le sue dita forti e calde si serrarono intorno alla mia asta, ansimai socchiudendo gli occhi. Era decisamente meglio di quanto riuscissi a fare da solo. Lui sorrise e, mettendo l’altra mano sulla mia spalla, iniziò lentamente a menarlo. Chiusi del tutto gli occhi e a bocca aperta ansimai di nuovo.
”Ti piace ?” chiese.
”Oh sì... sssììì!! È veramente bellooohhh…” gemetti.
”Puoi toccare il mio, se vuoi” aprii gli occhi e avvolsi la mano intorno al suo randello, meravigliandomi di quanto sembrasse duro e forte. Le mie dita non arrivarono a circondarlo completamente, ma comunque lo sentii pulsare. Lo carezzai mentre osservavo il prepuzio scivolare su e giù.
”Ooooh, Davide, anche a me piace! Tu... Tu hai un tocco eccezionaleeehhh!!!!“ ansimò, chiudendo gli occhi con forza. Capii che stavo facendo un bel lavoro e questo mi fece sentire... Potente.
Lui indietreggiò tenendomi sempre per il cazzo e mi trascinò finché il suo culo non incontrò lo spigolo della scrivania. Vi si appoggiò, allargò le gambe e mi ci tirò in mezzo. Continuava a masturbarmi lentamente ed io ripagavo la sua generosità, facendo altrettanto al suo grosso uccello peloso. La mano libera scivolò dalla mia spalla alla mia schiena ed infine sul mio culo che prese a massaggiare. Lo sentii giocare e pizzicarmi le chiappe.
Dio quant’era fico!!!!
Risalì con la mano lungo la schiena, insinuandosi sotto la t-shirt, sfiorando con le dita la spina dorsale prima di ritornare al culo.
”Tutto ok?“ chiese, aprendo gli occhi e guardandomi.
”Oh sì“ sospirai.
”Mmmm... È piacevole vero? Hai un bel culo sodo e liscio. L’allenamento sta dando i suoi frutti, che dici?” sorrise. Ed io mi schernii alzando le spalle.
”Credo di sì!”
”Voltati allora. E lasciami ammirare il risultato del lavoro svolto!”
Mi girai, mi sfilò completamente la maglietta e le mani forti iniziarono a correre fino al culo, che massaggiò allargandomi un paio di volte le natiche.
”Chinati un po’ in avanti e spingilo in fuori... Sì, così! Perfetto!“ Un paio di dita percorsero la fessura tra le chiappe per poi bussare al buco. Mi ritirai. Non perché facesse male, ma perché pensai che l’avesse toccato per sbaglio: del resto, perché avrebbe dovuto toccare il buco di un ragazzo?
”Non ti ho fatto male, vero?” domandò quasi scusandosi.
”N-no” bisbigliai.
”Ok” E lo sentii toccarlo di nuovo e disegnare dei cerchi intorno all’anellino. Dopo un paio di minuti, la sensazione cambiò. Era come se la mia rosellina si stesse arrapando. Ansimai e spinsi indietro un po’.
Sentii un riso soffocato.
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